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Chi fa divampare (e chi tenta di smorzare) la febbre monetaria fra Stati

Le potenze del mondo si mobilitano. Ma la tentazione di sfruttare manovre monetarie espansive per stimolare la ripresa dell’economia reale pervade le banche centrali di tutto il mondo. A pochi giorni del G20 delle Finanze a Mosca, le sette maggiori economie avanzate hanno preso posizione sul controverso tema dei cambi valutari, ribadendo i loro impegni congiunti su una questione che tuttavia nelle ultime settimane è stata al centro di crescenti nervosismi anche tra gli stessi Stati del G7. Sembra dunque essere la diplomazia a nascondere le tensioni, anche quelle tutte interne al Vecchio Continente, e le politiche monetarie che ogni Paese gioca in casa.

L’impegno del G7

Con un comunicato straordinario Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Giappone, e Stati Uniti d’America hanno riaffermato il loro impegno a non perseguire un livello predeterminato dei cambi sulle rispettive monete, ripetendo anche la messa in guardia dall’eccessiva volatilità dei cambi, che danneggia l’economia. E, da notare, l’appello degli Usa corre in parallelo alle svalutazioni del dollaro e alle politiche di QE decise dal governatore della Fed, Ben Bernanke. E la mano destra del premier giapponese Abe finge di non sapere quello che fa la sinistra, con la banca del Giappone costretta a nuovi interventi monetari per far innalzare il livello d’inflazione sino alla soglia del 2%.

In sé per sé la dichiarazione del G7, che era stata anticipata da ipotesi di stampa, sembra limitarsi a ribadire una sorta di “mantra” che da anni viene ripetuto su questo capitolo, al termine dei vertici internazionali. Questa presa di posizione è però significativa per la fase in cui avviene.

Il nuovo percorso dello yen sotto la spinta del premier Abe

Nelle ultimissime settimane, infatti, si sono registrati crescenti nervosismi, specialmente nell’area euro, a seguito dei netti deprezzamenti di varie divise globali rispetto alla valuta comune europea. In particolare lo yen giapponese è calato a minimi pluriennali rispetto all’euro e al dollaro, mentre in vista di dell’imminente cambio di guida alla Banca del Giappone il nuovo governo conservatore ha esplicitamente auspicato manovre più aggressive della politica monetaria, che quindi implicano anche un ricorso più incisivo a svalutazioni volte a favorire le esportazioni.

Le spaccature europee

Questo però ha portato a reazioni negative in Europa, in particolare del presidente francese François Hollande che ha chiesto che i governi dell’area uro si dotino di “una politica sui cambi”, così come ribadito dal ministro dell’Economia francese Pierre Moscovici. Una linea che ha creato attriti in seno alla stessa area euro, in particolare con la Germania tradizionalmente ostile a manovre che odorino di svalutazioni competitive. “Non esiste un problema di tasso di cambio in Europa”, lo ha stroncato ieri il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble.

La posizione della Bce

E a sdrammatizzare sulla questione è anche il governatore della Bce, Mario Draghi, che ieri ha parlato di “un’esagerazione” della definizione di “guerra delle valute” e che tira dritto: “Nel nostro mandato non c’è il tasso di cambio”. E’ lo statuto della Bce a inchiodare Draghi all’obiettivo della stabilità dei prezzi.

Il comunicato del governo britannico

“Noi, ministri e governatori (di banche centrali) del G7 riaffermiano la nostra determinazione di lungo corso affinché i tassi di cambi valutari siano determinati dai mercati – recita un comunicato diramato dal governo britannico – e a consultarci strettamente in merito alle azioni sui tassi di cambio”.

L’agenda del G20

Il tema dei cambi appare come il più rilevante nell’agenda del G20 tra ministri delle Finanze che sul finale di settimana si svolgerà a Mosca, in Russia, sebbene ormai, passata l’emergenza della crisi globale, questo gruppo allargato – che oltre al G7 include anche i principali nuovi pesi massimi dell’economia globale – appaia sempre meno in grado di promuovere posizioni credibili su misure e politiche coordinate.

“Riaffermiamo che le nostre politiche di bilancio e monetarie sono state e resteranno orientare a raggiungere i nostri obiettivi interni, utilizzando strumenti interni, e che non perseguiremo degli obiettivi sui cambi”, prosegue il comunicato del G7. “Concordiamo che l’eccessiva volatilità e i movimenti disordinati dei cambi valutari possono avere implicazioni nefaste per la stabilità economica e finanziaria. Continueremo a consultarci strettamente sui mercati dei cambi – concludono i paesi del G7 – e a cooperare in maniera appropriata”.

Un asse Washington-Tokyo?

Ieri alcune dichiarazioni rilasciate dal sottosegretario al tesoro americano, Lael Brainard, sono state interpretate come un possibile “laisser faire” di Washington al Giappone su ulteriori svalutazioni. L’accondiscendenza americana verso le politiche di Tokyo non è nuova, e fa perno su ragioni ovvie, se si considera che il Giappone resta l’acquirente principale dei titoli di Stato Usa. Guai a contraddire Abe, quindi.

I numeri sui cambi

Ma lo yen ha visto nuovi cali, e oggi è sceso a nuovi minimi da 33 mesi sulla divisa americana. Il dollaro è risalito fino a 94,37 yen, mentre l’euro è tornato in prossimità del picco di 127 yen toccato nei giorni scorsi. Nel frattempo l’ipotesi di svalutazioni ha proiettato al rialzo l’azionario giapponese, particolarmente volatile nelle ultime settimane: a Tokyo il Nikkei 225 ha chiuso al più 1,94 per cento.

Va rilevato che i balzi delle Borse sulle ipotesi di svalutazioni, oltre alle ipotesi di rafforzamento dell’export, possono riflettere semplicemente anche la prospettiva di un calo della divisa di riferimento e un conseguente aggiustamento meccanico dei prezzi.

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